Le sfere di Francesco Zanotti
L’Anima era sempre stato il suo dilemma più grave. La forma dell’anima, intendo, le sue dimensioni, il suo colore, le sue proprietà fisiche. Sì, perché pur essendo da otto anni Lettore Eccelso (così amava definirsi, a torto o a ragione) di Teologia Morale dello Studio Universitario, Francesco Zanotti, bolognese di antichi natali, aveva sempre avuto una passione segreta per la fisica e in particolar modo per la meccanica. Nel 1770 era entrato nello Studio in qualità di Lettore ed era subito stato gratificato dal titolo di Eccelso, per la sua eloquenza e la chiarezza delle sue dissertazioni teologiche. Veramente non era proprio un esperto di Teologia Morale, ma era tanta l’ignoranza del suo consueto auditorio che non gli ci volle molto ad imporsi come massimo esperto. Peccato il suo nome, così popolare, in quella disarmante semplicità: un nome solo, un solo cognome… nulla di aristocratico, nulla di altisonante. Gli sarebbe piaciuto chiamarsi Francesco Antonio Servetti Donati Zanotti, per esempio; avrebbe avuto un impatto più professionale e forse ora sarebbe stato l’Illustre Signor Rettore Francesco Antonio Servetti Donati Zanotti. Ma era solo un sogno e doveva accontentarsi di quel misero “Francesco”, seguito da un insignificante “Zanotti”. Era comunque l’Anima a coinvolgere continuamente i suoi pensieri, e lui, “Anima”, la scriveva con la A maiuscola, per riverenza, per devozione, e per…per paura che non esistesse! Non ne aveva mai parlato ai suoi studenti, non era il caso, ma che fosse proprio certo dell’esistenza dell’anima, sinceramente, non poteva dirlo. Argomento tabù, comunque, per un Lettore Eccelso di Teologia Morale. Tutto quello che gli era consentito riguardava le caratteristiche fisiche dell’anima ed era già una bella concessione.
Si era d’inverno, un rigido inverno bolognese, fatto di nebbie, di neve, di ghiaccioli alle finestre, di stufe che non riscaldavano a sufficienza, di nasi rossi e gocciolanti, di abiti sempre troppo leggeri per riscaldare gli spiriti congelati dalla povertà e dalla noia. Lui, fortunatamente, questi problemi non li aveva essendo Lettore Eccelso. Qualche denaro lo aveva e la stufetta della sua camera scaldava a sufficienza per non impedirgli di pensare anche quando sonnecchiava in poltrona.
Quel pomeriggio di gennaio del 1778, Francesco Zanotti passeggiava sotto i portici del Pavaglione, sperando di incontrare qualche persona amica e sufficientemente colta per intavolare una dotta dissertazione teologica, ma il portico era semideserto: due mendicanti, una fioraia frettolosa che cercava di non guastare il bel mazzo di fiori che stava trasportando, una guardia infreddolita e annoiata, un calesse senza passeggeri. Passando accanto alla Basilica di San Petronio, udì in lontananza un dolce suono d’organo ed intravide una debole luce rossastra che cercava di sbirciare fuori, attraverso le figure delle vetrate, quasi per fare invidia a chi stava al freddo della strada, lei, così calda e rassicurante. Francesco decise di entrare, attraversò la piccola piazza, ed entrò nella Basilica dalla porta posteriore, più per falsa umiltà, che per necessità perché anche la porta che si apriva sulla grande piazza era aperta e se voleva, poteva entrare da lì. Attraversò il lungo e buio corridoio, spinse la bussola di legno imbottita di pelle e si trovò nel calore accogliente della chiesa, proprio sotto le canne dell’organo che cantava ad alta voce le sue lodi al Signore. Si sedette su una panca, un po’ in disparte, nell’ombra di una maestosa colonna ma abbastanza vicino alle candele votive, per carpirne il calore.
Quel tepore e quelle note intorpidivano la sua mente e costringevano le sue palpebre a nascondere quegli occhi di un azzurro intenso che gli erano sempre serviti per affascinare il suo uditorio, in special modo quello femminile…ma questa è un’altra storia.
Racchiuso così in quel dolce torpore gli parve che l’organo cantasse, soavemente, parole rivelatrici. Tenne gli occhi chiusi ed ascoltò attentamente:
“L’Aanimaa beellaaa di vetropalesceenteee stainformasemplicedisfeeraaa, con peso poco graaveee…”
Spalancò gli occhi, stupefatto, incredulo, tese l’orecchio, ma le canne dell’organo spargevano nell’aria solo un corale di Bach, il “Wer nur den lieben Gott läßt walten”, probabilmente. Così dolce e delicato… ma nessuna parola era associata al corale e nessun cantore accompagnava le note soavi dell’organo. Eppure… Richiuse gli occhi…”L’Aanimaa beellaaa di vetropalesceenteee stainformasemplicedisfeeraaa, con peso poco graaveee…”
Era un messaggio divino! Lui era stato prescelto da Dio per scoprire l’essenza fisica dell’anima, dunque. Lui, proprio lui, il banale Francesco Zanotti.
Nei poco più di tre minuti della durata del corale quella voce misteriosa gli stava porgendo la chiave di lettura che lo avrebbe reso famoso… o eretico…ma no, ma no, non poteva essere eretico chi veniva illuminato dalla Conoscenza all’interno di una severa Basilica, avvolto dal suono dell’organo!
Dunque, l’Anima è una sfera di cristallo opalescente, ed è leggera, per non gravare il corpo già reso così goffo dal peso e dalle malattie.
Ma se l’Anima è tutto questo, dove si trova? Deve essere dentro di noi, certamente, perché altrimenti ci sarebbe un universo delle anime e i nostri poveri corpi sarebbero destinati alla consunzione e ad una fine ineluttabile, senza speranza di risorgere nell’ultimo giorno. Ma se l’Anima è dentro di noi, in quale parte risiede?. Dipende dalle sue dimensioni, certamente… Tornò a chiudere gli occhi e l’organo gli suggerì la soluzione: “Duueeeecentimetrididiameetrooo, non uunoo di piuuu … L’Aanimaa beellaaa di vetropalesceenteee stainformasemplicedisfeeraaa, con peso poco graaveee…”
Due centimetri… due centimetri di diametro… richiuse gli occhi
“Oancheunsoloceentiiimertoo, anche unosolooo L’Aanimaa beellaaa di vetropalesceenteee stainformasemplicedisfeeraaa, con peso poco graaveee…”
Un solo centimetro… dunque due possibilità. Una sfera di cristallo opalescente di uno o due centimetri di diametro...
Richiuse gli occhi
“Ooooo siiiiiiiiiii” e la musica si dissolse nel silenzio della Basilica.
“Sì… mi ha confermato: ha detto di sì!”
Francesco Zanotti non stava più nella pelle: ora sapeva esattamente che l’anima è nel nostro corpo in forma di una pallina di cristallo opalescente di uno o due centimetri di diametro al massimo. E la rivelazione gli era stata data direttamente da Dio o dai suoi angeli, nella sacralità della Basilica, e lui era l’unico depositario di quella verità. Solo…solo non sapeva in quale parte del corpo.
Rimase attonito e incredulo, alla luce tremolante dei ceri votivi, fino a che il sacrestano non gli chiese gentilmente di uscire: doveva chiudere.
Si era fatto tardi. Nella grande piazza un labirinto di viottoli scavati nella neve abbondante rendevano difficile persino scegliere la direzione verso cui andare. Francesco Zanotti si avvolse stretto nella palandrana per vincere il gelo che ormai s’era impossessato di ogni cosa. Camminava guardingo, facendo attenzione a non scivolare sui lastroni di ghiaccio che luccicavano alla luce dei pochi lampioni. Il fulgore della neve permetteva comunque di vedere ogni cosa: il volto dei passanti, i loro nasi rossi e infreddoliti, le loro scarpe rigide e fredde, le loro mani, nascoste alla meglio negli abiti… ma non permetteva di vedere le loro anime. Eppure c’erano, con sicurezza, tante piccole sfere opalescenti, nascoste chissà dove nel caldo di quei corpi diafani che fuggivano chissà dove. L’idea fissa non lasciava più la mente di Francesco. Non gli importava del freddo, dell’ora tarda, della ...........
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